Diritto d’opzione nella disciplina giuridica commerciale è il diritto che spetta all’azionista e all’obbligazionista convertibile, quando la società delibera l’aumento di capitale o l’emissione di obbligazioni convertibili. In particolare, soci e obbligazionisti convertibili hanno diritto di scelta fra una delle tre seguenti opzioni: esercitare il diritto, sottoscrivendo, a
seconda dei casi, l’aumento di capitale o le nuove obbligazioni convertibili; non esercitare il diritto; disporre del diritto,
cioè venderlo. In quest’ultimo caso, più comunemente si dice che l’azionista e l’obbligazionista convertibile vendono i
propri diritti.
Il diritto di opzione inerisce alla singola azione (da ora in poi si considera per semplicità d’esposizione soltanto il caso
del socio) e consiste nella facoltà e contemporaneamente nella pretesa dell’azionista di esprimere la propria scelta. Con
un “miracolo” giuridico, la legge consente al diritto di avere manifestazione fisica (da ottobre ’98 questo miracolo si celebra soltanto per i titoli per i quali non sia stata prevista la dematerializzazione): un pezzettino di carta numerato, detto
cedola, che insieme ad altri pezzettini di carta, reciprocamente separabili, forma il dorso dell’azione, noto come mantello. Ogni volta che il diritto d’opzione viene esercitato, la società richiede che sia staccata dall’azione la cedola individuata dal numero comunicato ai soci. Di norma ogni azione vergine porta sul retro 50 cedole. Quando, in seguito alle vicende sociali, tutte le cedole sono state staccate, la società provvede alla sostituzione delle vecchie azioni con azioni
nuove. Le cedole delle nuove azioni sono numerate progressivamente a partire dal primo numero successivo al più alto
della vecchia azione. Se si tratta per esempio di primo “ricambio”, esso sarà pari a 51.
I diritti, materialmente, sono queste cedole e al pari di azioni e obbligazioni possono essere acquistati o venduti. Hanno
però una durata limitata: da un minimo di 15 giorni per le società quotate a un massimo di poco superiore ai 30 giorni
per le società non quotate. Per cui una volta scaduto il termine per l’adesione all’aumento di capitale, il diritto si estingue
e le cedole vengono fisicamente distrutte.
Per le società quotate e per tutti gli altri titoli per i quali è prevista la dematerializzazione i diritti, al pari dei titoli stessi,
sono rappresentati sotto forma di registrazioni. Le procedure per la loro creazione, compravendita ed estinzione seguono
quindi le regole applicabili ai titoli da cui originano.
Se è vero che a ogni azione spetta il diritto d’opzione, non è vero che a ogni cedola-diritto corrisponde il potere di sottoscrivere una nuova azione. Il numero di diritti necessari per sottoscriverne una, detto rapporto d’esercizio, viene infatti
stabilito dall’assemblea straordinaria che delibera sull’aumento di capitale. Per esempio se una società con capitale sociale pari a 100 delibera un aumento di 50, e non viene decisa alcuna limitazione del diritto, agli azionisti spetta una
nuova azione ogni due vecchie (100/50), o se si vuole ogni due diritti. Se un socio volesse sottoscrivere 15 nuove azioni, dovrebbe staccare 30 cedole, cioè possedere 30 vecchie azioni. Nel caso di società quotate tuttavia, potrebbe ugualmente acquistare i diritti in Borsa, ovvero venderli, al prezzo di mercato. Rara e antieconomica è la terza opzione, quella
di non esercitare il diritto in nessun modo.