Dalle rinunce e transazioni bisogna distinguere le quietanze a saldo o quietanze liberatorie con cui il lavoratore dichiara di aver ricevuto una somma di denaro attestando di essere soddisfatto e di non aver più nulla a pretendere; essa costituisce una semplice manifestazione del convincimento dell’interessato di essere stato soddisfatto di tutti i suoi diritti.
Dopo interpretazioni oscillanti, la giurisprudenza oggi ritiene che in esse non vi sia alcun animus rinunciandi, trattandosi di mere dichiarazioni di scienza priva di ogni efficacia negoziale e non preclusiva, in caso di errore, della possibilità di agire per il riconoscimento dei diritti che successivamente risultino insoddisfatti.
La dichiarazione con cui il lavoratore dà atto di aver ricevuto una determinata somma a totale soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non aver null’altro a pretendere dal proprio datore di lavoro rappresenta, di regola, una semplice manifestazione del convincimento dell’interessato di essere stato soddisfatto di tutti i suoi diritti e, risolvendosi in un giudizio soggettivo, concreta una mera dichiarazione di scienza priva di ogni efficacia negoziale che, come tale, se è successivamente riscontrata erronea, non preclude al dichiarante di agire per il soddisfacimento giudiziale dei propri diritti non ancora soddisfatti; soltanto nel concorso di altre speciali circostanze, desumibili anche aliunde, una tale dichiarazione può assumere il valore di rinuncia o transazione, ai sensi dell’art. 2113 c.c., sempreché di tali negozi ricorrano i requisiti legali e, in particolare, risulti inequivocabilmente accertato che il lavoratore abbia avuto, nel rilasciarla, la chiara consapevolezza degli specifici diritti determinati, o almeno obiettivamente determinabili, che gli sarebbero spettati e ai quali, appunto, egli abbia coscientemente inteso rinunciare totalmente o parzialmente (Cass., sent. 5930/1998).