La maggioranza di noi passa una buona percentuale della propria giornata lavorando, ma spesso non conosciamo i nostri diritti. Sono molti i casi, purtroppo, che svelano una mancanza di coscienza dei lavoratori in questo senso. Colpa forse anche della mancanza di informazione dei mass media. La materia è tanto più attuale, ora che l’argomento è tornato agli onori della cronaca per la riforma del lavoro.
Va premesso innanzitutto che il processo del lavoro segue un iter speciale, disciplinato dagli artt. 409 e seguenti del codice di procedura civile. Il procedimento mira a snellire le cause, accelerando i tempi rispetto a quello ordinario, combattendo la lunghezza dei processi italiani. In particolare l’art. 410 c.p.c. prevede il ricorso al tentativo di conciliazione, non solo nelle forme previste dalla contrattazione sindacale collettiva, ma anche dalla conciliazione amministrativa, davanti alla Commissione di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro. La mancanza di chiarezza del testo della legge su questo punto, aveva portato la dottrina a chiedersi se il tentativo fosse da intendersi come facoltativo, alternativo dunque rispetto alla via giudiziaria e rimesso alla discrezione del cittadino, o obbligatorio.
La Corte Costituzionale è intervenuta dapprima sul tema optando per la seconda ipotesi, escludendo dunque la violazione dell’art. 24 della Costituzione. Il d.lg. 31.3.1998 ha confermato questo orientamento: il tentativo di conciliazione extragiudiziale nel processo del lavoro è obbligatorio e solo se questo fallisce si avvia l’azione giudiziaria. Per esperire tale tentativo il termine è di 60 giorni dalla presentazione della domanda alla Commissione di Conciliazione, anche in assenza di comunicazione all’azienda.
Nell’ipotesi in cui la conciliazione si concluda con successo viene steso un apposito verbale, depositato presso la Direzione provinciale del Lavoro. Tale verbale di conciliazione fa fede tra le parti.