Nel mondo della consulenza, accade spesso di trattare le due figure del lavoratore autonomo e del libero professionista come se fossero, nella sostanza, la stessa cosa. Ma, se è vero che il libero professionista è un lavoratore autonomo, non accade il contrario.
L’art. 2082 del codice civile definisce imprenditore chi esercita professionalmente un’attività organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi.
Dunque, laddove si riscontrassero i requisiti di professionalità, economicità ed organizzazione, siamo certi che si tratta di un’attività imprenditoriale.
Perciò, la prestazione di servizi con i suddetti requisiti configura un’impresa con tutti gli obblighi che ne seguono (apertura della partita IVA, posizione previdenziale, obblighi contabili e fiscali, ecc.).
In particolare, il codice civile distingue il:
A) Lavoro autonomo inteso come contratto d’opera con cui una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente […] (art. 2222 cod. civ.)
B) Lavoro professionale inteso come prestazione d’opera intellettuale svolta da un professionista iscritto in appositi albi o elenchi (artt. 2229-2230 cod. civ.)
Perciò, il consulente può correttamente qualificarsi libero professionista se e solo se è iscritto in un Albo o Elenco professionale e, quindi, dopo aver superato un esame pubblico abilitante.
Ciò accade, poiché, la legge ha voluto regolamentare determinate attività professionali ritenute strategiche per il corretto svolgimento dell’economia (es. commercialisti, medici, avvocati, notai, ingegneri, ecc.).
Ne consegue, pertanto, che il consulente la cui attività non rientra tra quelle tutelate dalla normativa, sebbene svolga comunque un’attività professionale, non possa qualificarsi come libero professionista bensì come lavoratore autonomo.
Tra l’altro, ad una prima lettura del testo civilistico, si desume il carattere obbligatorio della professionalità nel lavoro professionale – appunto – che costituisce uno dei tre requisiti fondamenti per la qualifica di imprenditore.
Pertanto, mentre il libero professionista svolge – per definizione – un’attività abituale, quella del lavoratore autonomo può essere anche un’attività occasionale che in mancanza di abitualità non configura il carattere imprenditoriale e quindi di impresa.
Se ne ricava che, mentre il libero professionista è sempre un imprenditore, il lavoratore autonomo può non esserlo se la prestazione è resa in modo saltuario.